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Pellegrino Artusi è stato ospite di Trieste. Per questo, ma non solo, vale la pena di indagare su questo personaggio. L’ho scoperto dopo aver letto e studiato il suo ricettario. Infatti riporta la ricetta di un dolce della “tedescheria”, come lo definisce lui stesso. L’unica ricetta della gastronomia di Trieste. Interessante perchè pur non essendo Trieste Italia lui ne riporta la ricetta nel suo ricettario totalmente italiano.
Artusi scrive ed edita il libro di ricette famigliari, casalinghe di quasi tutta Italia. È un venditore per corrispondenza. Un anticipatore dell’E-commerce. Il suo libro diventa così la fotografia della cucina italiana di fine 800. È il passaggio dai ricettari di base originari della cucina francese codificati per ristoranti e chef mediata nella cucina italiana in formazione. É l’embrione di qualcosa di diverso per la cucina d’Italia che si sta costituendo che si definirà con il libro di Ada Boni: “Il talismano della felicità”.
Pellegrino Artusi è un venditore porta a porta nel senso che pubblica a sue spese e spedisce su richiesta la pubblicazione. Riporta le ricette che le stesse lettrici gli forniscono spesso in risposta all’acquisto del libro. Lui stesso viaggiando per lavoro e per diletto, curioso, assaggia le specialità e i modi di cucinare da tutta Italia.
Nel Villino Puccioni a Firenze al suo ritorno lo aspettano i suoi due gatti: Biancani, dal vezzeggiativo romagnolo biancasen, ossia bianco ed il secondo, Sibillone, dall’omonimo gioco culturale molto in voga negli ambienti intellettuali dell’epoca. La prima edizione del libro sarà dedicata a loro.
Pellegrino non cucina e questo fatto lo aiuta a comporre una raccolta di ricette scritte per chi non sa cucinare. Intanto bada ai suoi affari con le stoffe, sete e bachi da seta. Sarà il suo cuoco e la sua governante che eseguiranno le ricette sulle sue indicazioni. Lui le assaggia, le testa, le descrive in un italiano innovativo, le codifica e infine le pubblica se meritevoli di citazione.
Il nostro protagonista gourmet non era di Firenze. Era nato a Forlinpopoli cittadina all’epoca in provincia di Forlì. La storia che ora ti voglio raccontare segnerà la vita del nostro autore.
Tutto iniziò non molto dopo le 20,00 del 25 gennaio 1852. Era una notte fredda e piovigginosa Forlinpopoli era una cittadina di circa 2000 abitanti. La cittadinanza era quasi tutta al teatro Verdi. In cartellone il dramma biblico in due atti “Morte di Sisara” di Pietro Alessandro Guglielmi. Forlimpopoli sorge in mezzo alla pianura romagnola e per questo, una volta chiuse le porte d’accesso, facilmente difendibile dalle bande di briganti e banditi che infestavano la zona. C’è però il sentore che si sta preparando qualche fattaccio ma nonostante le avvisaglie le 10 guardie papaline si sentono al sicuro.
Non sarà così.
Qualcuno doveva riflettere sul fatto che il cognome del sindaco di allora: “Briganti” poteva essere già un ammonimento.
Il sipario all’inizio del secondo atto si apre ma non sulla scena che ci si aspettava. 16 Briganti armati sono sul palco. Li comanda Stefano Pelloni detto “il Passatore” dal mestiere del papà traghettatore. Costringono con minacce e violenze a consegnare gioielli e danaro. Ma non si fermano ai presenti vogliono di più.
La famiglia Artusi non era presente in teatro ma i briganti avevano progettato per bene il misfatto.
Nei giorni precedenti avevano predisposto la lista delle famiglie più facoltose della cittadina. Era invece presente in teatro un amico della famiglia Ruggero Ricci. Picchiato e minacciato venne costretto ad accompagnare i banditi a farsi aprire casa Artusi. Intanto i “ballabili” suonati dall’orchestra terrorizzata e minacciata continuano interrotti solo dal fragore del danaro, gioielli ed argento rapinati, svuotati dai sacchi sul palco. Agostino Artusi detto il Buratel padre di Pellegrino, si fida dell’amico Ruggero e così alla richiesta di aprire la porta e lasciarlo entrare succede che i briganti entrino e devastino casa. C’è quasi la certezza che la sorella Geltrude sia stata profanata ma c’è la speranza che sia semplicemente riuscita a scappare inseguita sui tetti delle case.
Comunque siano andate le cose da quel momento conseguentemente a quel trauma la ragazza svilupperà una malattia mentale:”demenza semplice” che dopo 21 anni di reclusione nel manicomio di San Benedetto di Pesaro la porterà alla morte.
Atti di feroce violenza in quella casa ci furono per tutti. Pellegrino verrà picchiato con casa e famiglia violate sotto i suoi occhi impotenti.
Il grosso bottino di quella serata fra danaro e gioielli per i briganti sarà enorme. Equivalente al bilancio di quel comune per un anno. Un prete, riconosciuto segretamente da Pellegrino, era certamente a capo di quella combriccola penetrata in casa e nulla fece per moderare le azioni criminali del gruppo. Questo fatto non fece altro che alimentare l’anticlericalismo di Artusi. Anche lui tutta la vita pagó per il tradimento dell’amico ma soprattutto del papato che non aveva saputo o peggio, voluto difendere quella cittadina dai briganti.
Probabile motivo per il quale non si sposò mai e nella sua vita rimase traccia di un trauma psicologico mai risolto. Ma il danno maggiore fu che quella rapina e quelle violenze vennero interpretate come un “brigantaggio sociale” lodato anche da Garibaldi.
Il danno oltre la beffa.
Il brigante di Forlinpopoli, “il Passatore” diventò per lungo tempo una sorta di capo di una “giustizia proletaria” celebrato anche da Giovanni Pascoli in “Romagna”:
“Sempre un villaggio,
sempre una campagna mi ride al cuore (o piange),
Severino: il paese ove, andando,
ci accompagna l’azzurra vision di San Marino:
sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta”…
Abbiamo visto che il brigante Pelloni tanto cortese nei riguardi della famiglia Artusi e di Forlinpopoli non fu. A questa interpretazione buonista dell’atto criminale si aggiunse la fama di Pellegrino Artusi di avaro, speculatore ed usuraio. Se Pelloni era un eroe la parte che spettava ad Artusi era quella dell’antieroe. Furono questi fatti che fecero in modo la famiglia Artusi si trasferì a Firenze.
L’autore di “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” morì nel 1911 dopo più di 40 anni di cene e pranzi composti da parecchie portate che oggi avrebbero stroncato un toro nel giro di poco tempo. Aveva 91 anni.
Qualche anno dopo il sindaco di Forlinpopoli ricevette una lettera da un notaio di Firenze dove si dichiarava che c’era un testamento nel quale si nominava anche il comune di quella città. Era l’eredità di Pellegrino Artusi. Il cuoco compaesano Francesco Ruffilli, e la governante Marietta Sabatini, ereditavano i diritti d’autore provenienti della pubblicazione, ormai un bestsellers. Il comune di Forlinpopoli andava il capitale ben gestito fino a quel momento ricavato dalla vendita delle tenute, del libro e dai guadagni degli investimenti. Per quasi metà della sua vita Artusi si ritirò dagli affari e si godette la rendita accumulando un capitale veramente notevole.
In famiglia di Artusi all’inizio fra fratelli e sorelle erano in 9. Pellegrino con le morti premature dei fratelli fu allevato, unico maschio di famiglia, dalle sorelle. Generosamente non mancò di regalare ad ognuna una dote cospicua che le fece sposare. Oggi i danari lasciati in eredità finanziano una fondazione che promuove la cultura gastronomica artusiana. Su 475 ricette iniziali si arriverà alle 790 dopo 15 ristampe che partono dal 1891 al 1911 anno dell’ultima ristampa. Sono tutte ricette casalinghe italiane ma di Trieste c’è una sola. Ecco quanto poco la cultura, l’identità della gastronomia “triestina” già ben caratterizzata, apparteneva all’epoca di mio nonno all’Italia. La ricetta assaggiata, come scrive Artusi stesso è un dolce della “tedescheria” ed è il Presniz. Si scrive Presnitz, Presniz, o Presnic? Lo aveva assaggiato da Eppinger detto “il futizon”; ora la pasticceria porta
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